Non starò a raccontarvi le solite motivazioni collegate al lavoro.
Chi proviene dalla Sicilia come me non ha bisogno di sentire le solite storie sui problemi della nostra isola.
Anzi, forse noi siciliani ne abbiamo un po' abbastanza.
Voglio solo raccontarvi la mia storia.
Vivo nel profondo Sud della Polonia (ecco, sono terrone anche qua) e la mancanza del mare e del sole rimane opprimente nonostante gli anni.
Per uno che ha passato trent'anni della propria vita con l'odore della salsedine sotto le narici non smetterà mai di sentire il richiamo delle onde.
Tanto che ho visto la prima nevicata a sedici anni e ho sempre provato compassione per chi è nato e cresciuto nel continente.
Ecco, ora quello da compatire sono io.
Ma trasferirsi significa adattarsi. Anche quando si va a vivere al Nord Italia.
I siciliani sono diversi dai veneti o dai lombardi, figuriamoci rispetto ai polacchi.
Non posso aspettarmi che siano gli altri ad abituarsi a me, a parlare italiano o a mangiare pasta.
Sono io che devo adattarmi alla situazione, per cui o la si prende di petto o ci si fa travolgere.
E allora mi adatto.
Ma facciamo un passo indietro fino al 2002.
Partiamo da un presupposto: come avete già letto, sono morbosamente attaccato alla mia Sicilia.
Ma sono anche un viaggiatore e sono sempre stato aperto a nuove esplorazioni verso nuovi mondi.
Questa è forse la motivazione principale che mi ha portato a lasciare la mia terra. La mia isola mi stava ormai stretta.
Quell'anno visitai la Polonia per la prima volta. Era inverno, faceva un freddo becco e le tenebre scendevano in orari impensabili.
Passai le vacanze in Slesia dove le zaffate di carbone bruciato rendevano l'aria mistica quanto irrespirabile.
Inutile scrivere sulle esperienze nelle città, quell'inverno visitai Varsavia, Katowice, Poznań, Cracovia ma non sto a raccontarvi le sensazioni perchè sono sempre le stesse che può vivere un turista.
Voglio invece raccontarvi di quando fui trascinato a fare trekking per la prima volta in montagna.
Non una qualunque ma sul Babia Góra, 1.725 metri di gelo e vento.
Ero impreparato. Ma parecchio. Il vestiario era inadeguato e la mia esperienza trascurabile.
Ma a quei tempi ero uno studente di geologia in procinto di laurearsi. Ero bravo e mi piaceva vedere il mondo in maniera diversa.
Dove gli altri vedevano "montagne" o "pietre" io vedevo pieghe, faglie e formazioni.
Guardavo i primi affioramenti di Flysch dei Carpazi a Zawoja, ne studiavo gli andamenti e decisi di caricarmi lo zaino già pesante con campioni di roccia per il mio professore di Rilevamento Geologico.
Cosa si fa per la scienza!
Attraversai il portale in legno che segnava l'ingresso al parco per immergermi nella foresta innevata.
Il silenzio veniva interrotto solo dal grattare delle mie scarpe sulla neve fino alle caviglie.
Il cammino con zaino in spalla mi aveva portato indietro ai tempi degli scout ma senza pantaloncini fuori luogo nè canti da esploratori.
Il rifugio dove avevamo dormito era spartano, interamente in legno, i letti a castello, dormivamo nei sacchi a pelo.
Eravamo gli unici ospiti e rimasi colpito nel dover pagare l'acqua bollente per farmi un tè.
Eppure quel posto era caldo, confortevole, non chiedeva di essere accettato, era così, punto, ero io a doverlo accettare, nessun compromesso.
Il giorno dopo siamo saliti in cima sul Diablak. Già il nome mi faceva stare poco tranquillo.
Il vento tagliava la faccia come lame affilate ma non me ne preoccupavo. Camminavo per le basse conifere sulla cresta fino a raggiungere il Diablak.
Guardavo a valle e mi sentivo libero. Ridevo mentre folate di vento intorpidivano i miei muscoli.
Per la prima volta dominavo il mondo dall'alto.
Da quell'anno in poi ogni occasione divenne buona per visitare gli angoli di natura di questa terra.
Più i paesaggi erano diversi da quelli siciliani, più mi sentivo coinvolto. Ma soprattutto, cresceva la voglia di raccontarlo.
Gli anni successivi sono salito sullo Śnieżka in pieno inverno, ho attraversato la catena dei Bieszczady, ho affrontato in canoa tutto il Czarna Hańcza, ho visitato le coste del Baltico salendo sulle dune e ho passeggiato fra i boschi della pianura.
Non voglio impressionare nessuno, niente roba da Indiana Jones, non stavo cercando l'avventura a tutti i posti, stavo solo cercando di conoscere la Polonia.
Con il tempo aumentava però l'insofferenza per la lingua polacca.
Quella lingua astrusa andava prima o poi affrontata. Anche qui dovevo essere io ad adattarmi e con forza di volontà e metodo ci sono riuscito.
Non aver imparato la lingua locale mi avrebbe fatto sentire ancor di più straniero in terra straniera.
Non avrei parlato con i polacchi, non li avrei conosciuti e loro non avrebbero conosciuto me, sarei sempre stato dipendente degli altri come se mi mancasse un arto.
Quando mi sono trasferito in Polonia parlavo già la lingua, conoscevo i luoghi ed ero indipendente.
Questa fu la chiave per un rapido ambientamento. Il trasloco fu una fisiologica conseguenza di anni di preparazione.
Non esagero, la Polonia non è l'Inghilterra, soprattutto quando si decide di vivere in una città di medie dimensioni.
La Polonia non era ancora ricettiva per accogliere orde di stranieri e al giorno d'oggi non lo è ancora più di tanto.
Oltretutto la lingua è un casino e ci sono problematiche che vanno conosciute.
Il proseguimento dei miei viaggi è stata una delle conseguenze.
Dopo tanti anni posso dire di conoscere meglio la Polonia che l'Italia.
Certo il mio lavoro mi ha portato a questo ma ci sono ancora tanti luoghi immersi nella natura che meritano di essere visitati, fotografati, raccontati ma soprattutto vissuti.
Da qui nasce questo sito
Se consiglierei a qualcuno di trasferirsi in Polonia?
In tanti anni non l'ho mai fatto, mi sono limitato a raccontare i pro e i contro secondo il mio punto di vista in maniera pragmatica.
Sta poi all'interlocutore prendere una decisione.
Ma un viaggio nei luoghi di cui parlo, sicuramente, ma sempre in maniera sostenibile.
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